DE...scrivere

La cultura non è un lusso, è una necessità.

IL CORRETTO USO DELL'ACCENTO

Pubblicato su 25 Aprile 2012 da Desirée Nocentini in LIBRI & CULTURA

L’uso dell’accento è molto importante per comprendere  un testo, ed è soggetto a precise regole grammaticali: può essere grave o acuto, cadere sulle vocali in finale o all’interno della parola e inoltre il suo uso può essere obbligatorio o facoltativo.

Nella lingua italiana esistono due diversi tipi di accento:  grave ( ` ) e acuto ( ´ ). L’uso dell’accento fu introdotto sull’esempio di quello greco, secondo cui vigeva la norma di usare l’accento grave in finale di parola e quello acuto all’interno. Dalla metà dell’800 furono stabilite regole più complesse e l’uso dei due tipi di accento divenne quello di segnalare la pronuncia aperta o chiusa della 'e' e della 'o'. Le regole attuali impongono invece che le vocali a, i, o, u abbiano sempre l’accento grave quando sono finali di parola, mentre sulla e, sia interna che finale di parola, e sulla o all’interno della parola, l’accento è acuto o grave a seconda che la pronuncia sia chiusa o aperta. È inoltre completamente errato scrivere i monosillabi accentati con l’apostrofo, anche nel caso delle parole in maiuscolo (È, non E’).

Per quanto riguarda la e finale di parola, l’accento è sempre grave eccetto che nei seguenti casi: la congiunzione causale ché, né, sé, i composti di “che” (affinché, perché, cosicché, poiché, giacché...), i composti di tre (ventitré, trentatré...) e i composti di re (viceré). L’accento deve essere usato obbligatoriamente su tutte le parole polisillabiche tronche, sui polisillabi formati da monosillabi che usati da soli non richiedono l’uso dell’accento (autogrù, ahimè...) e sui seguenti monosillabi per distinguerli dai loro omofoni: dà (verbo dare), dì (giorno) e relativi composti (lunedì, martedì...), là e lì (avverbi di luogo), sì (affermazione), tè (bevanda), né (particella negativa) e sé (pronome). Si scrivono invece senza accento anche se omofoni do (verbo dare e nota) e su (avverbio e preposizione). In italiano non è richiesto l’uso obbligatorio dell’accento all’interno della parola, ma viene usato qualche volta nei casi in cui sarebbe impossibile distinguere fra loro due termini omofoni e omografi. Generalmente tra i due termini uguali viene accentato quello meno comune (àncora, piuttosto che ancóra).    

Nel caso in cui il plurale di un termine in -io si scriva con una sola -i, è consigliato usare l’accento sulla penultima sillaba della parola. È quindi corretto scrivere adultèri (adulterio), benefìci (beneficio), demòni (demonio), desidèri (desiderio), malefìci (maleficio), presìdi (presidio) e princìpi (principio), per distinguerli dai loro omografi adulteri (adultero), benefici ( benefico), demoni (demone), desideri (desiderare), malefici (malefico), presidi (preside), principi (principe). Secondo questo schema è consigliabile usare gli accenti interni alla parola nei plurali dei nomi in -orio per distinguerli da eventuale omografi derivanti da termini in -ore (contraddittòri, uditòri...). È facoltativo ma utile alla comprensione usare l’accento in èra (periodo di tempo), dài e dànno (verbo dare), sètte (pl.di setta), subìto (verbo subire), vòlta (arco), e còlto (verbo cogliere), per distinguerli da era (verbo essere),dai (preposizione), danno (nome), sette (numero), subito (avverbio), volta (frequenza) e colto (istruito). Non è obbligatorio ma utile usare l’accento sui termini che nell’italiano parlato sono generalmente pronunciati in modo scorretto, come la parola edìle (non èdile), o utensìle (non utènsile).

 

 

 

Commenta il post